Il 3 maggio c.a. sono state rese pubbliche dal collegio giudicante le motivazioni con cui a novembre 2018 Cerroni e sodali furono assolti o prescritti.
In 182 pagine il collegio giudicante ha azzerato, con motivazioni sconcertanti, le pesantissime imputazioni di associazione a delinquere, truffa, traffico illecito di rifiuti, falso in atto pubblico etc. a carico di Cerroni, dei suoi uomini e dei solerti funzionari e dirigenti annidati negli uffici regionali e tra i politici della giunta allora in carica in Regione. E laddove non è riuscito a smontarle le ha derubricate o convertite in innocue contravvenzioni, salvo poi costatare la provvidenziale estinzione del reato per prescrizione.
Benchè sia stato provato ampiamente il funzionamento vergognoso e truffaldino con cui Pontina Ambiente ha gestito tra il 2006 e il 2012 la discarica e il TMB di Albano con:
• smaltimento indebito in discarica di enormi quantità di rifiuti (oltre 154 mila tonnellate di CDR) non trattati o mal separati nell’impianto.
• sovrafatturazioni per 4.571.488 euro tra 2006 e 2010, e 753.328 euro fino ad agosto 2012 a carico dei Comuni del bacino per CDR che invece di essere inviato a Colleferro era invece smaltito in loco.
• omissione delle relazioni a consuntivo, obbligatorie ed essenziali per verificare i movimenti dei rifiuti e la tariffa.
il collegio giudicante ha derubricato il reato di traffico illecito di rifiuti (CDR in discarica) in contravvenzione (attività di gestione rifiuti non autorizzata) e, grazie a ciò, ha applicato la prescrizione dell’illecito.
Inoltre, malgrado esso ritenga che sia provato, sulla base dei contratti, il dolo di Pontina Ambiente e la sua premeditazione rispetto alle stime del CDR da conferire a Colleferro, ha considerato elementi a discarico alcune note informative della stessa ai Comuni, emesse ad arte dalla società per crearsi un alibi.
Ciò è stato sufficiente ai giudici per decretare la contraddittorietà delle prove di frode in pubbliche forniture e poi, con una giravolta unica, ignorare le sovrafatturazioni fino al 2012, fermandosi arbitrariamente al 2010 e applicando la prescrizione.
Particolarmente grave appare l’asserita inconsistenza delle imputazioni emerse nel corso delle azioni che portarono al via libera alla costruzione dell’inceneritore di Albano, benché gli atti regionali siano stati una sequenza incredibile di forzature, irregolarità, falsità e sfacciato asservimento ai desiderata di Cerroni.
Tutte le intercettazioni telefoniche tra funzionari e dirigenti regionali, dirigenti politici e uomini di Cerroni effettuate nel corso del 2008 trasudano la comune ansia e la volontà spasmodica di non far perdere al boss dei rifiuti gli enormi incentivi pubblici (CIP6), quantificati in 298 milioni di euro e di ribaltare poi il l’iniziale giudizio negativo della Regione sul gassificatore di Albano.
La sequenza è impressionante:
• Usando gli abnormi poteri commissariali sui rifiuti, l’allora presidente della Regione Marrazzo ha potuto approvare il progetto del gassificatore prima della valutazione di impatto ambientale (VIA) e prima che scadessero i termini per gli incentivi (31-12-2007).
• Accordi incrociati tra uomini dell’avvocato e dirigenti regionali per fermare il diniego iniziale della Regione (VIA negativa) con l’arbitraria doppia sospensione della delibera, derubricata a “comunicazione”.
• Accordi tra uomini dell’avvocato e dirigenti regionali per autorizzare il COEMA a presentare controdeduzioni con variante progettuale.
• Ricorso al TAR di Cerroni con lo spauracchio concordato della richiesta di risarcimento danni, utile a fornire ai dirigenti regionali un comodo alibi all’autorizzazione.
• Accordo tra politici e tecnici (De Filippis, Di Carlo, Hermanin) per arrivare, a ottobre 2008, alla VIA positiva.
• Il COEMA presenta una variante progettuale mai sperimentata e oltremodo pericolosa per l’impatto, ma funzionale ad ammorbidire l’ostacolo Zaratti.
Nonostante ciò il collegio giudicante ha liquidato in due righe l’accusa di falso e abuso d’ufficio a carico di Luca Fegatelli e Raniero De Filippis che firmarono e avallarono tutti i documenti utili.
La beffa finale potrebbe investire direttamente gli oltre 20 cittadini, parti civili in primo grado, che qualora presentassero appello, sarebbero chiamati a pagare le pesanti spese processuali in caso di conferma della sentenza.